Primarie, dieci domande a Chiamparino e Vendola

1. Le primarie non sono ancora certe. Perché secondo te è importante andare alle elezioni primarie?
C: Oggi la sinistra manda al paese un messaggio che – a voler essere benevoli – è incerto. Il punto di partenza è quindi avere un programma ed un messaggio chiari. Entrambi hanno bisogno di una figura, di un volto che li rappresenti e li porti avanti. Le elezioni primarie sono lo strumento che lo consente. Non saprei suggerirne uno diverso…

V: L’importanza delle primarie deriva dal nostro essere all’interno di un passaggio d’epoca. Per archiviare il berlusconismo è indispensabile un’operazione politico-culturale tale da rappresentare un gigantesco fatto democratico nella società italiana: una riappropriazione della politica come bene pubblico. C’è bisogno di un grande dibattito su futuro del paese, sul come uscire dalla crisi, sui percorsi per superare la deriva antropologica introdotta dalla precarizzazione del lavoro e di conseguenza della vita intera, e questo percorso, secondo me, si può avviare solo con le primarie. Infine, le primarie servono a evitare che si formi, ancora una volta, una coalizione al ribasso, basata su un’alleanza fra conservatorismi. Una coalizione che puntasse a difendere le rendite di posizione sarebbe non inutile ma controproducente. Quando diciamo che serve una grande alleanza dovrebbe essere chiaro che s’intende un’alleanza con il popolo, nella quale tutti i partiti del centrosinistra devono sapersi mettere in gioco. Per costruire il cambiamento si deve essere disponibili a cambiare.

2. Venuto meno il miraggio dell’autosufficienza del Pd si pone a tuo parere la necessità di ripensare all’organizzazione della sinistra? E in che modo?

C: Certo che mi parte indispensabile. Ci vuole una sinistra e ci vuole una sinistra modernizzatrice (so che questa parola non piace ai lettori de Gli Altri) che, quindi, deve avere al suo centro il Pd , ma deve nascere dal confronto aperto con le altre forze. Rivendico il copyright della definizione “nuovo ulivo” che ho usato per primo in un’intervista a Repubblica. Ho usato questa definizione perché evoca una stagione politica in cui la sinistra ha vinto. Certo non posso pensare di proporre il modello dell’Unione che non ha saputo né vincere né governare.

V: La cosa peggiore sarebbe continuare a rincorrere una modellistica astratta. Non si può pensare di affrontare in laboratorio, magari con formule tipiche del marketing elettorale, un tema profondo e drammatico come quello della crisi dei partiti e segnatamente dei partiti di sinistra. In Italia, tutta la politica è in movimento. A destra sono ormai in campo opzioni strategiche differenti. Il centro sta vivendo una fase di ristrutturazione importante. È davvero incredibile che non esista invece alcun dibattito sulla sinistra. Come se affrontare sul serio il tema del futuro della sinistra non volesse dire misurarsi su una visione del futuro e sulla difesa del nesso tra i diritti sociali e quelli di libertà. Certo, è ovvio che qui non si parla di una sinistra intesa come botteghe, nicchie ideologiche, rendite di posizione ma di una sinistra che vuole uscire dal minoritarismo per cambiare il corso della storia nazionale.

3. Su quali temi in campagna elettorale si può pensare di contrapporsi a Berlusconi sconfiggendo la sua egemonia sulla società italiana?

C: I temi sono quelli che nel paese si sono già posti in questi anni ai quali, però, occorre dare risposte nuove. Dobbiamo contrapporci a Berlusconi sui temi della legalità, temi sui quali le forze di maggioranza si sono spaccate. Legalità significa certo rispetto delle leggi, ma anche soluzione del conflitto di interessi e tempi certi per i processi. Quello dei tempi dei processi non è un tema della destra, ma ci riguarda e riguarda il paese. Un mio amico imprenditore mi ha raccontato di aver vinto in Olanda dopo solo 21 giorni un processo per cui ha avuto un risarcimento di dieci milioni di euro. In Italia è inimmaginabile, ma se non ci sono tempi certi per la giustizia non c’è né giustizia né legalità. In secondo luogo in questo paese è necessaria una vera rivoluzione industriale. In Italia non si produce più o, almeno, si produce sempre meno. Ma siamo un paese troppo grande per poter vivere solo di turismo. Sono stato di recente al Moma di New York e sono rimasto colpito dalla mole di prodotti industriali che abbiamo sfornato nel passato. E adesso? Infine dobbiamo usare il federalismo per una riforma della pubblica amministrazione, del fisco e delle prestazioni sociali. C’è molto da fare. In Italia pagano meno tasse proprio coloro che immobilizzano i capitali: si paga poco per la successione e per le rendite finanziarie. Pagano molto i lavoratori e le imprese. È una situazione che blocca lo sviluppo e il paese.

V: Il tema centrale è la lotta alla precarietà. Non solo della precarietà nel lavoro, ma della vita, delle persone, delle famiglie, dell’ambiente. La precarietà è il paradigma dell’epoca in cui la globalizzazione dei mercati va di pari passo con la polverizzazione dei corpi sociali, in cui all’integrazione finanziaria corrisponde la disintegrazione sociale e culturale. È questo il Giano bifronte del mondo odierno. Ricostruire un nesso tra libertà, conoscenza, lavoro, vita, forme di comunità, partecipazione e spazio pubblico rappresenta allora il terreno sul quale costruire una grande piattaforma di cambiamento. Il che, solo per fare qualche esempio tra i tanti, significa difesa scuola pubblica, conferma e ampliamento dei diritti del lavoro, costruzione di una diplomazia della pace.

4. La crisi economica ha mostrato un paese particolarmente debole che ha riproposto le ricette del rigore senza riuscire ad impostare un nuovo welfare. Quali proposte avanzeresti per un nuovo eventuale governo?

C: La sinistra o un governo di sinistra devono innanzitutto completare la riforma del mercato del lavoro. Dobbiamo fornirci di un sistema che dia garanzie a tutti, non solo a chi ha già un lavoro. Sostengo la necessità di un salario di disoccupazione sia pure secondo regole precise. Certo il disoccupato non deve essere mantenuto a vita dallo Stato, se rifiuta un certo numero di offerte di lavoro deve perdere il salario di disoccupazione, ma vi deve essere un servizio di accompagnamento al lavoro. Nessuno deve essere abbandonato se stesso. Occorre poi restituire ai comuni e agli enti locali un’autonomia impositiva. Se si deve tagliare, meglio tagliare ai ministeri. Un nuovo modello di welfare si costruisce su questa autonomia e sulla sussidiarietà. A costruirlo devono contribuire anche le famiglie, il volontariato, le organizzazioni sociali. Ci vuole più società e meno stato, certamente, ma la società deve essere aiutata altrimenti il minore intervento dello Stato significa solo più tagli di spesa.

V: Riformismo è una delle tante parole che negli ultimi decenni sono state snaturate e stravolte sino ad assumere connotati opposti a quelli originari. Quando Tremonti e la destra parlano di riforme, alludono in realtà alla cancellazione di decenni di riforme reali, e troppo spesso la sinistra li ha seguiti su quel terreno. Intervenire con un piglio riformista significa invece mettere in opera politiche economiche che mirino a incentivare l’innovazione sia di prodotto che di processo, e a imporre un’idea di competizione capace di convivere con un paradigma forte di cooperazione. Per il welfare vale lo stesso discorso: rinnovare non significa cancellare o restringere, e l’idea di un welfare che rimuove il mondo del lavoro semplicemente non esiste. Un welfare moderno è quello che punta, più che sull’assistenza, sulla promozione di percorsi di valorizzazione e che affronta le nuove emergenze sociali. Un welfare che parte, oltre che dal lavoro, dalle donne e dai migranti, dalla centralità delle questioni di genere, dal declino di una società paternalistico-autoritaria.

5. Le recenti scelte di Fiat, Federmeccanica e Confindustria delineano un nuovo protagonismo degli imprenditori e un nuovo modello di relazioni industriali. La sinistra può rispondere? E in che modo?

C: La sfida di Marchionne va interamente accettata. Sia chiaro, io non sono d’accordo né con i licenziamenti, né con i gesti unilaterali che la Fiat ha fatto in questi mesi. Ma non posso sfuggire al problema posto dall’amministratore delegato della Fiat: abbiamo un sistema produttivo per cui nel settore auto c’è il doppio dei lavoratori della Polonia o del Brasile e questi producono la metà. E allora che fare? Intanto il governo metta dei soldi, come ha fatto Obama, come hanno fatto altri governi europei. E i sindacati si decidano a fare come i loro colleghi tedeschi: partecipino alle decisioni dell’azienda e si facciano garanti dell’attività dei lavoratori.

V: Marchionne ha sferrato questa offensiva frontale perché gli è stato consentito di farlo, perché l’arbitro ha smesso di essere neutrale ed è entrato in campo a favore di una parte e contro i diritti del lavoro. Grazie a questo ruolo del governo, Marchionne e Federmeccanica, invece di capire che non si può ripristinare una situazione di subalternità, subordinazione e mortificazione del mondo operaio, si sono convinti che è possibile cercare una sorta di soluzione finale dei diritti del lavoro. Di fronte a una politica aziendale che, in nome della modernizzazione, arretra sino all’Ottocento, la sinistra, e a maggior ragione un governo di centrosinistra, devono saper fare della difesa del mondo del lavoro e dei diritti dei lavoratori la propria bussola.

6. I modelli dei federalismo finora messi in campo delineano un paese a due velocità e rischiano di penalizzare il meridione. Come pensi che la sinistra possa affrontare il nodo di un federalismo solidale?

C: Penso che il federalismo possa essere utile per dare efficacia alla pubblica amministrazione, ma penso che debba essere un processo graduale. Alle regioni più deboli deve essere dato un sostegno con verifica e per un certo periodo di tempo, alle più forti deve essere data maggiore autonomia. Ma il federalismo non può essere immediato, deve seguire il modello spagnolo della gradualità anche perché solo in questo modo se ne potranno verificare i benefici. Finora non riusciamo né a vederli né a prevederli.

V: Il federalismo in salsa leghista è nella sostanza secessione. Parte da un’idea degli interessi locali contrappositiva invece che cooperativa, penalizza alcune aree e ne privilegia altre invece di introdurre una dinamica virtuosa di solidarietà e potenziamento reciproco delle specificità regionali. Quel modello di federalismo va contrastato strenuamente, e al suo posto va messa in campo un’idea di federalismo solidale ed europeo, tale appunto da funzionare come motore per l’intero paese e non per le sue aree più ricche.

7. In questi due anni di governo Berlusconi i problemi della giustizia hanno oscurato tutti gli altri in un conflitto fra un antiberlusconismo che spesso ha degenerato nel giustizialismo e un garantismo che spesso ha degenerato nella ricerca dell’impunità. Come se ne esce?

C: Quello della giustizia è un nodo molto complicato. Io mi identifico con gli antiberlusconiani perché è difficile scindere i problemi personali del premier dai problemi che lui pone rispetto alla giustizia. In poche parole credo che il nodi che oggi abbiamo di fronte si possono risolvere solo con Silvio Berlusconi fuori dal governo. La sua presenza inquina ogni discussione e blocca ogni possibile soluzione.
V: Abbiamo assistito al tentativo di infrangere l’equilibrio tra poteri dello Stato in nome di un consenso popolare inteso come salvacondotto che esime dal dovere di rispettare le leggi. Ma a partire di qui si è arrivati anche oltre:a una classe dirigente che ha rivendicato per sé la sterilizzazione di qualsiasi azione giudiziaria. I comportamenti illegali dei potenti sono assolti in partenza. I ceti possidenti sono sempre, per ragioni ontologiche, innocenti e i poveri cristi sempre colpevoli. È evidente che la legalità è un valore fondante e che la difesa delle garanzie non equivale a impunità per nessuno. Però è altrettanto evidente che lo scontro politico non può più essere combattuto a colpi di dossier e avvisi di garanzia. Superare il berlusconismo vuol dire anche mettere fine a questa anomalia che ci perseguita da vent’anni e riportare ogni cosa nei propri giusti confini istituzionali.

8. La destra ha cavalcato con grande determinazione i temi della sicurezza e li ha coniugati con quelli dell’immigrazione. La sinistra spesso è stata afasica e subalterna. Quale campagna e quali politiche deve contrapporre?

C. Per la sicurezza la ricetta è semplice da enunciare difficile da eseguire. In poche parole occorre un controllo del territorio e una qualità urbana. La Lega alla quale viene attribuita grande attenzione al problema della sicurezza tagliando le risorse alla polizia e ai carabinieri è andata in realtà in direzione opposta. Quanto alla necessità di una qualità delle città il motivo mi sembra evidente. Il cittadino si sente più sicuro in una strada con i lampioni illuminati e senza bidoni stracolmi di spazzatura. Anche un poliziotto si sente più sicuro. L’immigrazione è una risorsa. Una nostra risposta di accoglienza è fondamentale per sconfiggere il berlusconismo. E questo significa voto amministrativo misure legislative e comportamenti precisi: voto amministrativo, cittadinanza dopo cinque anni e diritto di culto. A Torino stiamo costruendo una moschea e nessuno finora si è opposto.

V: La logica che ha seguito la destra è semplice: garantismo per i garantiti, giustizialismo per i giustiziati. In nome della sicurezza è stata scatenata una guerra contro i poveri e contro i diversi, sono state inoculate nella società italiane dosi massicce di razzismo e intolleranza. È una cultura securitaria e razzista che va capovolta e trasformata in una idea di sicurezza sociale che ambisca a costruire una società plurale e accogliente.

9. Che cosa pensi dell’altro?

C: Nichi Vendola è un punto di riferimento politico e amministrativo importante in Puglia, la regione che governa. Oggi sta anche lavorando per dare una rappresentanza politica ad un’area della sinistra che non ce l’ha. Quindi ne penso bene. Penso che stia facendo un’operazione politica giusta. Certo se mi presenterò alle primarie non penso ad un ticket con lui. Sarebbe assurdo. Alle primarie ciascuno si presenta con il suo volto, le sue idee, il suo programma. Chi vince ha il diritto e il dovere di portali avanti. Un ticket, se mai, si fa dopo le primarie non prima. Voglio aggiungere che Nichi Vendola mi sta pure simpatico. Il che non guasta.

V: Sergio Chiamparino è prima di tutto un ottimo amministratore che ha contribuito a fare di Torino uno dei più avanzati laboratori di convivenza e modernità. In ogni caso, il suo sarà un notevole contributo a quella gara di idee e programmi che dovranno essere le primarie.

10. A quali condizioni ti ritireresti dalle primarie?

C: Come faccio a dire a quali condizioni potrei rinunciare se oggi non so ancora se ci sono le condizioni per presentarmi. Sono un iscritto del Pd e, per regolamento, per il partito si presenta innanzitutto il segretario. Quindi, parlo per assurdo, se si presentasse Bersani, e io mantenessi la mia decisione dovrei uscire dal Pd. E non mi pare che il Pd abbia bisogno di frantumarsi. Quindi sto a vedere. Se ci sarà un candidato credibile non avrò alcuna difficoltà a sostenerlo.

V: Non vedo la mia presenza come un ingombro o come un restringimento delle possibilità del centro sinistra. Mi sto mettendo in gioco per contribuire a costruire un cantiere largo, plurale, innovativo. Inoltre, la mia candidatura è nata da una parte della società italiana, sgorgata dal cuore di un pezzo delle giovani generazioni. Non si tratta di ambizione di carriera.

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