di Luigi De Magistris, da il Manifesto, 7 settembre 2010
Bersaglio mobile che deve essere freddato a colpi d’arma da fuoco. Per punirlo, ma anche per inviare un messaggio a quanti decidono di amministrare la cosa pubblica nel solo interesse dei cittadini, contrastando la rapacità dei clan. L’uccisione di Vassallo, sindaco di Pollica-Acciaroli, gioiello di un Cilento bellissimo, riconsegna al Paese un dolore purtroppo non sconosciuto e ci ricorda come la politica possa diventare il principale obiettivo delle mafie quando dimostra di essere onesta. Quelle mafie che infiltrano le istituzioni, l’economia, il lavoro, la società. Quelle mafie che hanno il volto del killeraggio armato, ma che sanno soprattutto assumere la faccia ‘pulita’ - e per questo pericolossissima - del business.
Siedono nei cda delle società miste; partecipano alle gare per gli appalti pubblici; riescono a gestire lo smaltimento dei rifiuti, incassando commesse in modo apparentemente corretto; sfruttano per la speculazione edilizia piani regolatori confezionati ad hoc; prendono parte all’assegnazione dei finanziamenti europei, elargiti da amministratori conniventi con società controllate da prestanome o spudoratamente riconducibili a criminali. Quelle mafie che non bussano più alla porta della politica perché è la politica che bussa alla loro: offrono voti all’aspirante sindaco o parlamentare, in cambio di un lasciapassare negli affari che le amministrazioni, soprattutto locali, gestiscono. Favorendo il crimine che li ha favoriti nella corsa al potere. Quando non arrivano –ed è frequente- a posizionare nelle liste elettorali uomini di fiducia, pronti a fare le loro veci e i loro interessi. Ad ogni livello, anche nazionale.
Può però capitare che nel paese di Gomorra e de o’ sistema, ci sia qualcuno che rompa questa contaminazione illecita. Magari un sindaco di un comune cilentino. Un primo cittadino che individua il rispetto dell’ambiente come punto cardine del suo operato e che, insieme alle associazioni, si impegna contro l’edilizia abusiva per la difesa delle coste, sostenendo inoltre la raccolta differenziata. In una terra in cui l’ambiente è forziere di arricchimento e di controllo del territorio per il crimine, questo sindaco non solo è dannoso per l’arricchimento mafioso ma addirittura offensivo della sua ‘dignità’. Un colpo economico, un’onta etica. A cui si risponde in un solo modo: l’esecuzione.
La politica che si fa baluardo di legalità al tempo stesso si trasforma in bersaglio mobile delle cosche. Perché ne esiste un’altra che sceglie di svendersi per vantaggio, ponendosi al servizio dei boss senza contorcimenti morali. Gli amministratori locali possono essere sentinelle sul territorio e presidio capillare della giustizia. Lasciati soli dallo Stato, con l’appoggio delle sole forze dell’ordine e della magistratura, alcuni di loro affrontano a ‘mani nude’ le mafie nelle periferie del Paese: un corpo a corpo che senza il Governo rischia di farsi martirio.
La battaglia a cui siamo chiamati deve avere infatti un respiro nazionale, puntando sulla mobilitazione della società. Provvedimenti come il ddl intercettazioni o il processo breve, il condono edilizio e lo scudo fiscale, oppure la vendita all’asta dei beni confiscati, possono ostacolare l’operato coraggioso dei Vassallo d’Italia. Ora, partiti e Governo devono cessare con la retorica dell’anti-mafia, per scegliere quella della coerenza legislativa e del contrasto politico (garantendo l’occupazione regolare dove il lavoro è presidio di legalità ed impegnandosi al rispetto del codice etico nelle candidature). La battaglia epocale contro le mafie si può vincere, ma serve volontà. E questa volontà è in primis politica.
Siedono nei cda delle società miste; partecipano alle gare per gli appalti pubblici; riescono a gestire lo smaltimento dei rifiuti, incassando commesse in modo apparentemente corretto; sfruttano per la speculazione edilizia piani regolatori confezionati ad hoc; prendono parte all’assegnazione dei finanziamenti europei, elargiti da amministratori conniventi con società controllate da prestanome o spudoratamente riconducibili a criminali. Quelle mafie che non bussano più alla porta della politica perché è la politica che bussa alla loro: offrono voti all’aspirante sindaco o parlamentare, in cambio di un lasciapassare negli affari che le amministrazioni, soprattutto locali, gestiscono. Favorendo il crimine che li ha favoriti nella corsa al potere. Quando non arrivano –ed è frequente- a posizionare nelle liste elettorali uomini di fiducia, pronti a fare le loro veci e i loro interessi. Ad ogni livello, anche nazionale.
Può però capitare che nel paese di Gomorra e de o’ sistema, ci sia qualcuno che rompa questa contaminazione illecita. Magari un sindaco di un comune cilentino. Un primo cittadino che individua il rispetto dell’ambiente come punto cardine del suo operato e che, insieme alle associazioni, si impegna contro l’edilizia abusiva per la difesa delle coste, sostenendo inoltre la raccolta differenziata. In una terra in cui l’ambiente è forziere di arricchimento e di controllo del territorio per il crimine, questo sindaco non solo è dannoso per l’arricchimento mafioso ma addirittura offensivo della sua ‘dignità’. Un colpo economico, un’onta etica. A cui si risponde in un solo modo: l’esecuzione.
La politica che si fa baluardo di legalità al tempo stesso si trasforma in bersaglio mobile delle cosche. Perché ne esiste un’altra che sceglie di svendersi per vantaggio, ponendosi al servizio dei boss senza contorcimenti morali. Gli amministratori locali possono essere sentinelle sul territorio e presidio capillare della giustizia. Lasciati soli dallo Stato, con l’appoggio delle sole forze dell’ordine e della magistratura, alcuni di loro affrontano a ‘mani nude’ le mafie nelle periferie del Paese: un corpo a corpo che senza il Governo rischia di farsi martirio.
La battaglia a cui siamo chiamati deve avere infatti un respiro nazionale, puntando sulla mobilitazione della società. Provvedimenti come il ddl intercettazioni o il processo breve, il condono edilizio e lo scudo fiscale, oppure la vendita all’asta dei beni confiscati, possono ostacolare l’operato coraggioso dei Vassallo d’Italia. Ora, partiti e Governo devono cessare con la retorica dell’anti-mafia, per scegliere quella della coerenza legislativa e del contrasto politico (garantendo l’occupazione regolare dove il lavoro è presidio di legalità ed impegnandosi al rispetto del codice etico nelle candidature). La battaglia epocale contro le mafie si può vincere, ma serve volontà. E questa volontà è in primis politica.
(7 settembre 2010)
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