LA PARTITA È RIAPERTA
Lo straordinario successo conseguito dai referendum contro la privatizzazione dell’acqua, la ripresa del programma nucleare e il legittimo impedimento segnano uno spartiacque nella storia politica del nostro paese, come già in passato accade con altre consultazioni referendarie “epocali”, come quella per il divorzio nel 1974 o per la modifica del sistema elettorale nel 1992.
È il successo di una lunga accumulazione di “forze democratiche” che si sono affacciate nello spazio pubblico italiano: gli operai metalmeccanici che scendevano in piazza ad ottobre e che poi si ritrovavano con tutte le categorie nello sciopero generale, i giovani che invadevano le piazze del 14 dicembre, il milione di donne e uomini all’Europride, i cittadini che si sono mobilitati per l’informazione libera e per i diritti della cultura, i migliaia di comitati che proprio intorno all’acqua sono diventati la colonna vertebrale del movimento e, soprattutto, le immense e straordinarie mobilitazioni promosse dalle donne il 13 febbraio scorso.
La straordinaria partecipazione, dopo un quindicennio di mancati quorum, e la valanga di Si ai quesiti proposti ci consegna un dato sul quale tutti dovranno riflettere: questi referendum rappresentano un generale processo di critica al berlusconismo ed alle retoriche predicazioni, anche del centrosinistra, che hanno fatto delle privatizzazioni il canone cui conformarsi per oltre vent’anni. Risultano, quindi, approssimative le interpretazioni che tendono ad accreditare questa vittoria o come la manifestazione esclusiva dell’opposizione politica a Berlusconi, ma non bisogna dimenticare i milioni di elettori di centrodestra che vi hanno partecipato, o, specularmente, come un trionfo della critica al sistema politico tout court. Riteniamo che entrambe le posizioni siano certamente valse a contribuire alla vittoria, ma che il processo referendario sia stato una critica generale ai processi di governo oligarchici, sia per quanto riguarda i metodi (da cui la critica anche ai partiti) che per il merito delle decisioni (con una netta presa di distanze dal conformismo neoliberista).
Il risultato del referendum indica, inoltre, che il lavoro importantissimo dei comitati civici, delle associazioni, veicolato con strumenti poveri e soprattutto attraverso la rete informatica, sia riuscito prima a raccogliere un numero impressionante di firme a sostegno dei referendum e poi a mutare il senso comune che si era imposto nel corso degli ultimi anni. È esemplare la positiva “svolta” del Pd, in particolare sui temi della privatizzazione dell’acqua, dove sono state messe in minoranza le posizioni privatizzatrici e sviluppiste che erano egemoni fino a poco tempo fa sui temi dei servizi pubblici e persino su quelli delle energie rinnovabili.
Oggi risulta assolutamente improcrastinabile fornire una risposta non ideologica alle domande di senso che emergono dalla società. Si è fatta imprescindibile la realizzazione di una nuova idea di ecologismo di sinistra, che sappia coniugare le domande di eguaglianza con quelle di sopravvivenza del pianeta e della specie umana. La chiave di lettura di questi referendum, per noi soprattutto, è quella di spostare inequivocabilmente il nostro punto di vista sulla realtà a partire da una rinnovata cultura ecologista ed ambientalista, che sappia guardare alla crisi del modello di sviluppo e di convivenza sociale, con le lenti della responsabilità nei confronti delle generazioni future, introiettando il concetto del limite, tante volte ignorato da una ideologia sviluppista presente in tutte le tradizioni della sinistra, e valorizzando il concetto di beni comuni e di riscoperta delle virtù pubbliche, a fronte dei fallimenti delle retoriche privatistiche. Dobbiamo poter affermare che è necessaria una rivoluzione del “buon vivere”, un nuovo modello di convivenza e di convivialità. Lo stesso quesito sul legittimo impedimento, che certamente porta il marchio della insopportabilità delle leggi ad personam di Berlusconi, può essere letto come una richiesta di una società in cui debbano sparire i privilegi, in particolare i privilegi di chi amministra la cosa pubblica.
Non meno importante è stato il risultato delle ultime amministrative. Si è trattato di un indiscutibile successo delle forze del centrosinistra, che hanno aumentato il numero di sindaci e presidenti di provincia rispetto alle competizioni precedenti, conseguendo vittorie fino a qualche mese fa ritenute impensabili, da Milano e Cagliari da decenni governate dalla destra alla vittoria in vere e proprie roccaforti di destra al nord e del Pdl in Sicilia, passando per la vittoria di De Magistris a Napoli, nel luogo di maggior crisi dei governi di centrosinistra degli ultimi anni.
Molte di queste vittorie sono state definite “anomale”, ma questa definizione vale solo per chi ha ritenuto in questi anni che la normalità fosse la liturgia separata dei partiti nel proporre le proprie decisioni a cittadini passivi. È vero, invece, che queste vittorie sono maturate in un contesto di allargamento e coinvolgimento democratico delle cittadine e dei cittadini. La meravigliosa vittoria di Giuliano Pisapia non è stata un colpo mediatico dell’ultima ora, ma l’accumulazione di forze democratiche, spesso sopite, che hanno fatto di Milano un laboratorio di buone pratiche e di convergenze politiche e sociali inedite, partendo dai quartieri popolari per raggiungere i settori più impegnati della borghesia, con una campagna elettorale che ha visto una partecipazione impressionante e una allegria che ha contagiato l’intera città. È stata la vittoria di una proposta concreta, quella di aver voluto le primarie e di averle imposte al Pd, che si è rivelata rigeneratrice per tutti i soggetti coinvolti e, finalmente, vincente. È stata la vittoria della mitezza e della buona politica di Giuliano Pisapia, che ha efficacemente imposto la sua narrazione ad una città stanca degli abbrutimenti politici degli anni leghisti e populisti. Così a Cagliari, dove le primarie hanno prodotto il “miracolo” Massimo Zedda in una città che mai, dal dopoguerra ad oggi, aveva avuto un’amministrazione di sinistra. Il più giovane fra i sindaci di grandi città in questa tornata amministrativa, il precario che porta al governo una generazione cui è stato negato il futuro per anni è una ventata d’aria fresca per tutta la politica italiana. Altrettanto fragoroso è stato il successo di Luigi de Magistris a Napoli. In questo caso la candidatura è emersa a seguito del disastroso esito delle primarie napoletane, interpretate non come processo di partecipazione ma come strumento per regolare i conti interni al Pd napoletano. È stata una campagna elettorale nel pieno di una delle crisi più gravi della sua storia, quella dei rifiuti peraltro ancora in corso, e all’apice del risentimento nei confronti dei governi di centrosinistra degli ultimi anni. Il voto a de Magistris rappresenta da un lato questa necessità del cambiamento e dall’altra la indisponibilità a far rappresentare la discontinuità ad una destra capeggiata da Cosentino, ovvero dall’uomo politico di punta del Pdl campano sotto processo per affiliazione ai clan di camorra. Come si vede, ma anche le altre vittorie amministrative meriterebbero un commento articolato, da Torino a Trieste a tanti comuni “simbolo” di questa sfida elettorale dal nord al sud del paese, si è trattato di un processo articolato e territoriale, non di un semplice referendum pro o contro il Presidente del Consiglio. Eppure è altrettanto evidente che la combinazione tra elezioni amministrative e referendum sia stata un vero e proprio “avviso di sfratto” per l’attuale governo.
Sinistra ecologia libertà può senza dubbio essere soddisfatta dei risultati ottenuti, confermandosi seconda forza del centrosinistra italiano, e delle scelte fatte per favorirli, con l’eccezione del mancato sostegno al primo turno alla candidatura di Luigi de Magistris, pur avendo affidato detta scelta ad una consultazione democratica della base del partito nella città di Napoli, che ha segnato una nostra incapacità in quella città di seguire la domanda di cambiamento prepotente che è stata confermata nel dato elettorale.
Avevamo scommesso sui processi di partecipazione attiva per “riaprire la partita” ed ora la partita si è davvero riaperta. Ciò che dicemmo all’atto del primo congresso del nostro partito venne considerato da molti alla stregua di un velleitario progetto teso ad affermare una vocazione alla partecipazione solo per sostenere la candidatura di Nichi Vendola alle primarie. Oggi, trova invece conferma una strategia più complessiva che ha sempre scelto di puntare su quell’Italia “migliore” che non aveva né voce né rappresentanza politica, in particolare individuando in una generazione nuova, la generazione P, quella della precarietà, il più potente fattore di trasformazione possibile nella società.
Non siamo gli unici vincitori, per fortuna molti altri soggetti sociali e politici sono stati protagonisti di queste vittorie, ma siamo il partito politico che con più nettezza fa proprie le domande di cambiamento che si sono prodotte nel nostro paese. A cominciare dalla democrazia che non è per noi una petizione di principio, un buon metodo da adottare in tempi non stretti dall’emergenza ma che sarebbe stata un contenuto del cambiamento, una necessità storica di fronte alla crisi e all’afasia della politica. Lo avevamo detto questo e avevamo visto bene. Sta a noi, oggi più di ieri, contribuire a proseguire e perseguire il cambiamento profondo che sta determinandosi nella società italiana. Potremmo dire che il “sistema” non funziona più e che la voragine che si è spalancata di fronte a noi necessita di una nuova capacità di ricostruzione di un discorso pubblico, di una nuova narrazione del reale. È necessario cimentarsi a questo livello per non ricadere in una forma assai pericolosa, già sperimentata nel 1994 con Silvio Berlusconi, di una antipolitica al servizio della rivoluzione passiva dei blocchi sociali ed economici già al potere da decenni.
CAMBIA IL VENTO
Il vento del cambiamento è spirato forte dal sud del Mediterraneo. Le Rivoluzioni arabe, pur nella loro articolata manifestazione, sono state generate da una collettiva presa di coscienza di quella generazione che non aveva memoria delle lotte anticoloniali. Le domande di giustizia sociale e di libertà civili, l’uso dei mezzi informatici per organizzarsi e l’affermazione delle pratiche di lotta nonviolente, in Tunisia come in Egitto, hanno ricostruito un simbolico che ha sovvertito la rappresentazione delle popolazioni arabe imprigionate in un destino stretto tra autoritarismo e fondamentalismo islamico.
Le domande di cambiamento che vengono da quei paesi non possono essere deluse, in particolare dall’Europa, soprattutto da quell’Europa che nella fase nascente delle rivoluzioni le ha deliberatamente ignorate e derubricate. Del resto, le responsabilità della comunità internazionale, lì dove sono ancora in corso le proteste e le rivolte contro regimi dittatoriali, come in Siria o in Yemen, o nelle terre di Palestina, con una recrudescenza dell’occupazione israeliana e con il mancato riconoscimento dello stato palestinese nel rispetto della posizione che vuole due stati per i due popoli, sono sempre più evidenti. Così come si conferma un pantano l’operazione militare in Libia, avviata con gli aerei alimentati dalle ragioni umanitarie, che oggi sta degenerando in uno scontro tribale dove poco chiara appare l’emersione di una società civile capace di liberarsi e di liberare il paese.
In realtà il vento del cambiamento chiama in causa in primo luogo l’Europa. L’Europa che non ha saputo inventare nessuna forma di accoglienza per i profughi che scappano dalle guerre che la vedono protagonista. L’Europa che risponde alla crisi globale con minacciosi piani di ristrutturazione delle politiche pubbliche che vanno a colpire i soggetti più deboli, come la Grecia insegna. Un’Europa, dove i suoi stati più forti hanno provveduto a salvare gli istituti di credito (si guardi alla rinazionalizzazione del sistema bancario britannico) scaricando la crisi sul welfare, conquistato dopo decenni di lotte sociali e politiche che sono state la quintessenza del cosiddetto modello europeo. La stessa Banca centrale europea, nelle prime dichiarazioni di Draghi, riconferma la vecchia linea di stabilità della moneta, proponendo tagli allo stato sociale e massicci stock di privatizzazioni.
Eppure la crisi è stata determinata proprio dagli eccessi speculativi, dalle logiche più spinte del neoliberismo, dalla mistificazione della parola “libero mercato”, che di libero non ha nulla, vista la sua concentrazione oligarchica in settori sempre più ristretti. In Europa, come dimostra la mobilitazione degli “Indignados” a Puerta del Sol o le mobilitazioni continue in Grecia, è aperta una contestazione al modello diseguale che ha contraddistinto l’accumulazione di questi ultimi due decenni. A farne le spese, proprio in Spagna e Grecia, sono due governi di matrice socialista che, lungi da essere considerati referenti politici per il cambiamento, vengono disprezzati al punto che si preferisce lasciare il campo ad una prevedibile vittoria dei settori conservatori in Spagna o di un totale rifiuto delle istituzioni democratiche in Grecia. Lì dove, come in Germania o in Italia, si intravede una speranza nella sinistra, il messaggio è altrettanto chiaro e, come dimostrano il successo dei Grunen in Germania e l’affermazione dei candidati emersi dalle primarie in Italia, riguarda la volontà di innovazione profonda nel campo della sinistra politica.
Servirebbe in questo momento un’Europa diversa, come invoca lo stesso appello “Cambiamo l’Europa” firmato da eminenti personalità della sinistra europea, e una nuova sinistra continentale, che sappia riconoscere nelle grandi famiglie del socialismo, della sinistra e dell’ecologismo europeo i suoi principi fondativi, abbandonando per sempre le proposte di terza via blairiane. Impegnandoci, inoltre, nella costruzione di coalizioni che realizzino la raccolta di firme per iniziative popolari (un milione di firme per sette paesi) sui temi del reddito di cittadinanza, sull’acqua bene comune e sulla cittadinanza di residenza. Di fronte agli sconvolgimenti epocali che abbiamo di fronte ai nostri occhi, ciascuno di noi è chiamato ad allargare il proprio orizzonte, a collocarsi su un livello di proposta e di azione europea.
In Italia, dove crescono le preoccupazioni, persino democratiche, legate alla permanenza di questo governo, sono aperte le ferite di una gigantesca questione morale e sociale. Non consideriamo ci sia più tempo per soluzioni parlamentari della crisi politica. Se ciò che si prospetta per l’autunno secondo l’agenda Tremonti (tagli al welfare e al bilancio pubblico per oltre 40 miliardi di euro, attacco definitivo al contratto nazionale, taglio delle tasse ai più ricchi con incremento dell’IVA) venisse realizzato, molto probabilmente il nostro paese supererebbe la soglia del collasso. I dati della disoccupazione, soprattutto giovanile, e il dilagare delle forme della precarietà non sono più sostenibili, neppure dai più feroci liberisti.
Il collasso sociale ha il volto delle partite IVA che non riescono più ad avere un reddito di sopravvivenza, ha le storie degli operai della Fiat costretti ad aderire alle feroci ristrutturazioni di Marchionne, che detta il modello da seguire a Confindustria. La crisi è cresciuta e intanto sono cresciuti i divari tra ricchi e poveri, con episodi sempre più indecenti come le manifestazioni di disprezzo espresse da Tremonti, Gelmini, Brunetta, Sacconi e lo stesso Berlusconi. Siamo un paese con ampie fasce della popolazione sotto le soglie di povertà, che ha una crescente tendenza alla parcellizzazione ed alla atomizzazione sociale.
Intanto sono sempre più evidenti gli interessi materiali che costituiscono il collante del blocco di potere berlusconiano, dalle cricche alla P4, fino alle scandalose compravendite da calciomercato per i parlamentari che garantiscono la sopravvivenza numerica del governo. La questione democratica in Italia non riguarda solo i caratteri del governo, ma la natura del potere. Bisogna scuotere dalle fondamenta una struttura del potere che ha visto crescere e radicarsi, nella vita della Repubblica, zone grigie e nere, poteri occulti e clandestini organizzati, spesso in collusione con la criminalità comune e mafiosa, per condizionare la vita delle istituzioni democratiche e dello Stato.
È indispensabile avviare immediatamente il progetto politico che dia risposte alla crisi in atto. Non si tratta di proporre semplicemente delle “alternative”, visto che allo sfascio le alternative sono molteplici e contraddittorie tra di loro, ma di ricostruire una lettura della società e una proposta di rifondazione democratica basata sui principi costituzionali e sul coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche per il futuro.
Sinistra ecologia libertà può e deve portare il suo originale contributo al cambiamento, senza avere i vecchi vezzi e vizi dei partiti con un programma già confezionato e pronto per “trattare” con gli altri partiti del centrosinistra. Abbiamo voluto riaprire la partita e perciò pensiamo sia fuorviante e sbagliato rinchiudersi di nuovo nei recinti delle distinzioni tra radicali e riformisti. È riformista o radicale volere l’acqua pubblica, investire sulle energie rinnovabili, puntare alla piena affermazione dei diritti di chi lavora, sconfiggere la precarietà, riformare il welfare in senso universalistico, richiedere una tassazione equa e un duro contrasto all’evasione e all’elusione fiscali, affermare la piena legittimità dei diritti civili e di quelli dei migranti? È sicuramente necessario associare molte e molti, dalle forme associate agli strumenti di partecipazione attiva dei singoli, al fine di elaborare delle proposte che, se non coincidenti dentro la coalizione, possano essere decise in ultima istanza da consultazioni di cittadini e cittadine. Sono assolutamente necessarie primarie aperte, che indichino il programma e la leadership della coalizione che si candida a governare il paese. Proponiamo a tutte le forze politiche del centrosinistra e alle forze sociali e di movimento di dare vita ad un “cantiere per un nuovo progetto di paese”, articolato per temi e per territori. Il nostro obiettivo è quello di riconoscere che la mobilitazione molecolare di tanti soggetti sia la principale risorsa programmatica e progettuale per l’alternativa.
Crediamo sia importantissimo che il nostro partito si impegni fin d’ora nella promozione di alcune campagne politiche e nella adesione a campagne promosse da altre strutture di movimento. In primo luogo va rilanciata una mobilitazione sui temi sociali per una proposta di redistribuzione delle ricchezze e di riduzione delle diseguaglianze, muovendoci prioritariamente su alcune proposte di campagne: contrasto alla precarietà, sostenendo e diffondendo la piattaforma del movimento dei giovani precari e presentando la nostra proposta per l’istituzione di un reddito reddito minimo garantito nel quadro di una più complessiva riforma del welfare; introdurre un pacchetto di misure immediate per il contrasto della povertà, rifinanziando i capitoli del bilancio statale che sono stai tagliati nel corso degli ultimi anni; una campagna per la difesa e l’estensione dei diritti del contratto nazionale collettivo di lavoro, contro le proposte di Marchionne e di Tremonti che mirano a distruggerlo, chiedendo che nei luoghi di lavoro sia introdotta una vera riforma democratica per l’elezione delle rappresentanze sindacali e per la validazione dei contratti da parte di tutti i lavoratori; ridurre il numero di contratti, in modo da garantire unicità di rappresentanza ed eguaglianza di trattamento per tutti i lavoratori; abolizione della Legge 30 e reintroduzione della legge che impedisca la sottoscrizione delle dimissioni in bianco; sostenere le proposte che riducano la pressione fiscale sui lavoratori, sia dipendenti che quelli con la partita IVA, per aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie, introdurre quella sulle transazioni finanziarie e contrastare duramente l’enorme massa di evasione ed elusione fiscali.
Sul terreno del nuovo modello di sviluppo, va chiesto con forza che si dia seguito alla chiarissima indicazione emersa dalla consultazione referendaria: proporre una campagna, sostenuta in ogni amministrazione locale, per gli investimenti sulle energie rinnovabili e sull’efficientamento energetico; assumere, con i comitati, iniziative tese alla ripubblicizzazione dei servizi idrici locali e alla tutela del bene comune acqua. Inoltre, va fatta una riflessione approfondita sul reale mutamento di sensibilità ambientale nella cittadinanza. Basti pensare al risultato per molti inatteso dei referendum cittadini di Milano che hanno proposto l’estensione e l’aumento dell’Ecopass o della disponibilità diffusa ad avere comportamenti responsabili su una materia delicatissima come quella dei rifiuti, che aprono numerose possibilità di intervento anche su livelli territoriali per la promozione di iniziative mirate alla realizzazione di una società ambientalmente sostenibile.
Vanno rafforzate, inoltre, le iniziative che riprenderanno nell’autunno per l’istruzione e la ricerca pubbliche, che sono state l’emblema della politica dei tagli applicata dall’attuale governo. Così come è importantissimo sostenere e partecipare alle mobilitazioni del mondo della cultura, come quella in corso al Teatro Valle di Roma, affinché anche la cultura venga considerata un bene comune non privatizzabile e da sostenere con maggiori investimenti pubblici.
Sul terreno dei diritti civili, sostenere almeno tre campagne immediatamente: quella sul diritto di cittadinanza dei migranti; quella per il riconoscimento di piena parità dei diritti per le persone omosessuali, a partire dal riconoscimento delle unioni civili, e per una legge contro l’omofobia; per il testamento biologico, nel rispetto dei diritti e delle libertà di scelta delle persone. È inoltre indispensabile lanciare una proposta per la riduzione dei costi della politica e per la riforma della legge elettorale.
Infine, riteniamo che sia importante sostenere la petizione internazionale che richiede il riconoscimento dello stato palestinese secondo la proposta di “Due stati per due popoli” nella reciproca sicurezza e possibilità di convivenza e riprendere la mobilitazione per una soluzione pacifica della guerra in Libia.
UN PARTITO APERTO E IN MOVIMENTO
Possiamo dirci soddisfatti di questi mesi che ci separano dal nostro primo congresso. A questo punto abbiamo bisogno di far cominciare germogliare quanto abbiamo seminato nel corso della nostra breve esperienza. Siamo ancora convinti che il nostro partito possa essere la forza più aperta e più disponibile ad indicare i limiti e gli errori delle tradizionali forme partito. Per noi si è sempre trattato di riaprire la partita, prima ancora che di riaprire un partito. Tutti i limiti che abbiamo incontrato nel corso di questi mesi, va detto con onestà, sono stati sempre connessi al blocco di quei processi di innovazione di cui ci siamo detti convinti. Vale quando si sono manifestati problemi nella conduzione operativa e politica del partito, a partire dai livelli territoriali, vale nella mancata attivazione di tutti quei processi che servirebbero ad allargare, anche a livello nazionale, la rete di contatti che si sono resi disponibili nel corso di questi mesi. Non si tratta di un quadro che desta eccessive preoccupazioni, ma è chiaro che bisognerà intervenire lì dove Sinistra ecologia libertà non corrisponde alle tante aspettative che essa ha suscitato.
Il processo di apertura va vissuto fino in fondo e senza reticenze da piccolo partito. Nel nostro congresso abbiamo scelto unanimemente di investire nel Big bang della politica italiana, che non si riduce all’attesa di cosa accadrà nel Pd, ma che investe, e sta già investendo, tutti gli attori della nostra scena politica. È evidente che siamo interessati a ciò che si sta muovendo nel maggior partito di opposizione ma siamo ancora più interessati a sfidarlo, insieme a tutte le forze politiche del centrosinistra, sulle esperienze di innovazione politica ed organizzativa. Soprattutto perché dovremo sempre di più essere capaci di parlare ad un elettorato di centrosinistra che molto spesso è fluido nell’appartenenza ai partiti per così come sono ora.
Non possiamo attenuare la nostra carica innovativa e anche le nostre relazioni dentro il processo di ricostruzione del centrosinistra necessitano di una novità che ci faccia essere diversi tanto dall’esperienza dell’Ulivo quanto da quella dell’Unione. Perciò Sinistra ecologia libertà dobbiamo costruirla come un vettore della trasformazione, una soggettività organizzata, un partito al servizio del cambiamento.
C’è bisogno di Sinistra ecologia libertà come soggetto organizzato e flessibile, aperto ed inclusivo, proprio perché il compito di ricostruire il centrosinistra e di ripensare alla sinistra è molto più ambizioso di una conferma stanca di ciò che la sinistra è stata. È necessario porsi domande di senso sul ruolo e la funzione dei partiti politici.
Si pone il tema di quale rappresentanza dare alla partecipazione di tanti, che potremmo definire molecolare, in questa fase. I partiti, da tempo, non sono più esaustivi nelle risposte da dare alle domande che emergono nella società. Il nostro obiettivo non può che essere ricomporre la frattura tra società e politica. Per fare ciò è necessario un reinsediamento fatto di nuovi circoli, di nuovi tesserati e anche di presenze nelle istituzioni. Ma tutto ciò non basta e noi non dobbiamo avere paura di essere cambiati in questo cammino. Le nostre piccole certezze devono far posto al magma della sperimentazione, la nostra carica vitale si deve far attraversare dalle “moltitudini” che si stanno ribellando all’ordine costituito. Abbiamo ancora molta strada da fare, con tanti e tante diversi da noi. Rimettiamoci in movimento, insieme al mondo che cambia.
La presidenza dell’assemblea nazionale
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